250 ANNI DALL’INAUGURAZIONE DELL’ACQUEDOTTO CAROLINO

All’ alba del 22 maggio 1751, Vanvitelli riceve l’ordine di presentarsi “alle ore 13 in Portici volendomi parlare le loro Maestà. Subito ci sono andato…avendo io le cartelle dei disegni… gli ho mostrato li disegni ad uno ad uno, et invero il gradimento è stato così eccessivo che io non posso speralo maggiore… Mi anno soggiornato che dovrò portarmi in Caserta e la Regina à detto al Re: Quando vi sarà andato Vanvitelli voglio che ci facciamo una scorsa, e sul luogo vedremo tutto. Di più mi ha detto la Regina che vuole io faccia un disegno per la Città di Caserta e le strade, perché chi avrà da fabbricare vi fabbrichi con buona direzione, né più alto né più basso, ma tutto con ordine…”. Inizia così un rapporto entusiastico e congeniale, destinato a procurare quella eccezionale opera d’arte e di tecnica che è il complesso del Palazzo Reale e dell’acquedotto.

Vanvitelli nei giorni e nei mesi successivi, mentre elabora i progetti esecutivi esamina con particolare cura la presenza di sorgenti di acqua nel territorio ove doveva creare la Reggia ed il Parco. Egli infatti preoccupato da un alato di assicurare e approvvigionamento idrico indispensabile per l’esecuzione di un vasto programma edificatorio e, dall’altro, di trovare una disponibilità di acqua che gli consentisse di creare effetti più fantastici e grandiosi nel gioco della fontane delle Reali Delizie. Effetti che, dal’altra parte, veniva a formare parte integrante della più generale composizione architettonica della Reggia, e che quindi condizionavano l’intero progetto.

Nei primi di giugno di quel 1751 si reca sui monti circostanti per vedere le sorgenti di Giova, Fontanelle e Caserta Vecchia; provvede quindi a fare un rilievo topografico quotato e riporta tutto in un elegante disegno che presenta al Re per discutere con lui la questione. Il primo luglio le sorgenti sono convogliate nel condotto antico che Vanvitelli aveva scoperto e ciò costituisce il primo piccolo successo “ quelle terre non avevano mai veduto fluire l’acqua, ne esultano di allegrezza… a Caserta fanno fuochi di allegria…tutti si rallegrano con me”, intanto egli continua a visitare tutte le sorgenti note: quella detta “altalena”, l’altra nel boschetto di Caserta; poi va a S. Agata dei Goti, dove vede una ricca condotta di acqua che aziona tre nomi del duca di Maddaloni e successivamente un altro di Limatola.

Nei mesi successivi si reca a Airola negli stati del principe della Riccia e vede molte sorgenti: Decide quindi di fare un nuovo rilievo topografico per illustrare una relazione ai Sovrani. Il 2 maggio 1752 espone al Re le nuove idee grandiose, per le quali occorre una grande quantità di acqua che arrivi a Caserta ed una quota molto alta di quella del Palazzo.

Il Re accetta l’idea e delibera “ di prendere più acqua più bella e più copiosa, che saranno circa once milletrecento buone… Il Re ha pronti centomila scudi per metterci mano e mi ha richiesto… se li volevo per la fabbrica o per l’acqua. Gli ho replicato… per l’acqua adesso”… in avvenire per la fabbrica” e  il Sovrano rassicura.

Allora Vanvitelli comprende che può dare libero corso alle sue idee; pensa alle ricche sorgenti che ha visto nel territorio di Airola e vuole condurre “ queste nella collina più alta, in faccia del Giardino Reale. Questa conduttura d’acqua farà la felicità di quel luogo, non solo per lì giardini ma per tutti lì motivi”.

Forse l’Architetto pensa già alla possibilità di utilizzare l’acqua per gli usi della nuova città che ha progettato per aumentare l’alimentazione idrica di Napoli. Egli sa che l’acqua della sorgente che ha scelto “nascono miglia lontane onde almeno 24 dovrà girare per monti, averà da passare una valle vicino matalona alla quale vi farà bisogno innalzare almeno 200 palmi di acquedotto, in piccolo tratto però”. E a questo punto formula l’idea degli Archi della Valle, che schizza in un angolo della lettera al fratello, sono tre ordini di arcate sovrapposti, di cui il superiore è molto più basso degli altri due; vi sono indicati poi tre soli alti contrafforti nella zona centrale.

Nella “ complicazione di tante cose” vi è anche quella di non disturbare e approvvigionamento dell’acqua per Napoli che è condotta attraverso l’acquedotto del Carmignano il quale nasce presso S. Agata dei Goti. In un primo momento egli non sapeva “se il Re vorrà toccare l’acqua di Napoli per non intrigarsi con questa gente, poi si rende conto che “l’acqua che si prenderà, qual’ora avessi in qualche modo da pregiudicare alla quale che va a Napoli, si è pensato che dopo che averà  servito alli Giardini Reali mediante un fosso si rimanda nell’altro fosso che conduce a Napoli2: D’altra parte non va trascurato il fatto che la decisione di costruire l’Acquedotto Carolino discende dalla volontà del Borbone di migliorare e incrementare l’apporto di acqua a Napoli; contemporaneamente essa si inserisce tra gli intenti programmatici preliminari per la creazione della città di Caserta e del nuovo centro di S. Leucio; per cui, quella di realizzare le cascate e le altre delizie per la Reggia, ha costituito solo l’occasione particolare.

Vi è infatti da considerare che le sorgenti dei monti di Caserta si mostravano più che sufficienti, non solo da soddisfare i bisogni per la costruzione della Reggia, ma anche per alimentare le fontane dei GIARDINI Reali. Tanto è vero che, nella lettera del 29 aprile 1752, quando Vanvitelli pensava di non poter toccare le acque lontane di S. Agata per non interferire con l’alimentazione idrica di Napoli, riconosceva di poter risolvere i problemi del Palazzo di Caserta con le “altre acque, che benchè siano più basse tanto vi arrivano assai in alto nella collina, onde si condurrà per le fonti di sotto e l’altra per le fonti di sopra”. Ma vi è di più, l’acqua doveva servire esclusivamente per le Reali delizie e non doveva essere anche potabile, non era necessario condottarla in un canale di muratura coperto, per l’intera lunghezza, affrontando una situazione enorme, bensì sarebbe stato sufficiente trasportarla in un fosso scoperto, come d’altra parte era quello di Carmignano.

Al contrario era evidente che l’idea del Re era quella di creare una nuova conduttura di acqua potabile per la capitale che, superata Caserta, prosegue verso Napoli autonomamente, senza allaciarsi nel fosso del Carmignano. E’ chiaro che in una concezione, quello del Carolino costituisce un ragionevole costo sociale, necessario per soddisfare un’esigenza pubblica di carattere primario; non può essere considerata semplicemente una spesa superflua, fatta a vantaggio esclusivo del prestigio della casa reale. In base a tali criteri dunque Vanvitelli e Carlo di Borbone definiscono il progetto e dopo che i lavori della Reggia erano già avviati durante l’anno (siamo al 20 gennaio 1752) iniziano le opere per l’acquedotto secondo un programma di lavoro predisposto dall’architetto. Innanzi tutto viene ben distinto il complesso di lavori che riguardano la captazione e la conduzione delle cosiddette “acque piccole” nella zona dei monti di Caserta, che dura due anni interi, dai lavori del grande acquedotto.

Per la prima, la condotta deve attraversare due colline e la difficoltà non sono poche. Il metodo di scavo delle gallerie, come potete vedere nelle tavole della mostra, consisteva nel praticare alcuni pozzi verticali che alla sommità della collina da attraversare scendevano fino alla quota del futuro traforo. Lo scavo in galleria viene affrontato da entrambi gli imbocchi e proseguiva incontrando via via i pozzi scavati in precedenza e fornivano l’aereazione necessaria e anche una via per l’allontanamento dei materiali, tutto questo era opera dei minatori, i quali erano seguiti dai muratori cui spettava il compito di eseguire i rivestimenti murari nella galleria.

Nel marzo del 1758, quando gli Archi della Valle erano ultimati e si avanzava nel traforo del Garzano, i sovrani visitarono il cantiere 2 ieri dopo pranzo il Re, la Regina, gli due Reali Infanti vennero agl’Archi della Valle in giro dappertutto; io ero appresso al Re;  la Regina volle salire fino alla cima e scorrere per la lunga estensione sopra il secondo ordine dell’Archi, e seco condusse gl’Infanti. Insomma camminò tanto e si  stancò notabilmenete, ed io parimente non mi reggevo più”. La partenza di Re Carlo per la Spagna, alla fine del 1759 non poteva non determinare un profondo cambiamento nell’ambiente umano e psicologico in cui Vanvitelli lavorava, e anche notevoli variazioni nei finanziamenti e nei programmi tecnici delle opere a lui affidate; sopra ai Ponti della Valle, assai saggiamente, Vanvitelli decide di sospendere la costruzione del canale soprastante e infatti pensa di dovere lasciare gli Archi “ a farli posare, e se mai volessero fare qualche moto vi sia tempo per farlo senza danno, che all’incontro, se facesse qualche pelo dopo, sarebbero de’guai colarebbe l’acqua ed il pelo col consumo del passaggio dell’acqua potrebbe divenire un positivo danno, onde è prudenza aspettare”.

Dai primi mesi del 1760 si riprende in pieno nei settori non ancora cominciati. Da questo momento e per cinque anni Vanvitelli è costretto a riferire con relazioni mensili al Tanucci sull’andamento dei lavori.

Durante la costruzione vi furono anche alcuni incidenti di cui scrive l’architetto.

Uno di questi, avvenuto durante lo scavo del monte Croce, riguarda il capo mastro muratore che aveva fabbricato gli Archi della Valle. “ Mi è molto dispiaciuto perché era uomo di impegno e di abilità. Un pezzo di crostone si distaccò dalla volta, gli schiacciò il capo e le spalle, accanto a due altri mastri che lo accompagnavano”.

Nell’aprile del 1761 il novanta per cento del lavoro era compiuto; tutti i trafori erano ultimati, come la parte della canalizzazione. Ma è altrettanto vero è che “ogni giorno vengono intoppi che ritardano e avvelenano, anche con danno di mia salute”. A ciò si aggiungeva la mancanza di finanziamenti, a settembre del 1761 Vanvitelli osserva: “ Due miglia mancano di acquedotto, le quali si sarebbero fatte se non si fosse tesaurizzato ponendo a parte ducati 8.000, per quanto io so, di questo assegnamento. Questa non è la mano del Re cattolico, ma forse sarà di altri”.

Occorrerà infatti ancora un anno per giungere all’ultimazione ed a poter fare “ la mostra dell’acqua in presenza di Ferdinando IV, il Re piccirillo”, il quale una volta sola si era recato sul lavoro che “vide come potea vedere una creatura di 9 anni; entrò un poco nella grotta…….poi ritornò indietro”. Per la mostra Vanvitelli diede un gran da fare sebbene sapesse che “ vi sarà molta gente alla vista per la curiosità e per malignare ancora e poi non vi è il Re cattolico, e basta per dire tutto in ogni genere”.

Il 7 maggio 1862 fu il giorno dell’inaugurazione, “ la quale riuscì assai bene”.

Arch. Gian Marco Jacobitti