I giornata di studi - Don Carlos

Francesco Starace

CARLO DI BORBONE  ED I SUOI INCONTRI CON BARTOLOMEO VI DI CAPUA 

Don Carlos di Borbone che entra a Napoli in trionfo il 10 maggio 1734 mentre  il 3 luglio 1735, viene incoronato re di Sicilia; finisce così il viceregno spagnolo ed austriaco che era durato oltre i due secoli.  Esamino il suo carattere,  la personalità  e le decisioni  in rapporto ad  una personalità di rango elevato del suo regno con cui stabilisce stretti  rapporti  in numerose occasioni.

Si tratta  di Bartolomeo  VI   Di   Capua  (1716 —  30 marzo 1792) gran Conte di Altavilla e principe di Riccia. Volendo nobilitare il tema, una parte di ciò che dirò stamattina appare un caso significativo dei tanti che rientrano nella “storia della mentalità” settecentesca e di altri secoli, in inglese del mental habit, identificato da E. Panofsky (1951): tale settore serve a capire e spiegare determinate scelte dei committenti ed il loro riflettersi nelle opere realizzate.

Bartolomeo VI con il grado di colonello comandante del reggimento Terra di Lavoro, alla battaglia di Velletri (1744) fra spagnoli ed austriaci, salva la vita al re Carlo di Borbone. I diversi episodi della battaglia vengono affrescati da Francesco De Mura (1696 – 1782) nella volta del Salone detto “Galleria” al piano nobile del Palazzo di Capua Marigliano in via S. Biagio dei Librai. L’episodio lega in modo stretto l’ultimo dei di Capua al primo della dinastia dei Borbone. Ricordo che con diploma datato 7 agosto 1754 re Carlo concede ad Airola il titolo di città, segno di riconoscenza del dono fattagli dal feudatario, appunto Bartolomeo di Capua, delle acque del Fizzo o Sfizzo necessarie ad alimentare le cascate della Reggia di Caserta (1770). E’ questo l’evento chiave nella storia dei rapporti fra il sovrano ed il nobile suddito che manterranno per tutta la vita legami costanti.

Dopo Vasari, che distingue l’Idea dal Disegno – la visione estetica impone alle arti visive di riferirsi a canoni certi quali geometria e proporzioni concetti da considerare analoghi ai principi della musica o agli elementi costituenti il linguaggio della poesia. Tappa essenziale per gli intellettuali e gli artisti attivi presso la corte di Napoli nel ‘700, sono le idee dell’Accademia di San Luca e gli studi dell’abate Gian Pietro Bellori (c. 1615 – 1696) che coltiva insieme le arti contemporanee e le antichità per le quali mostra un vero e proprio culto. Nelle sue Vite (Roma 1672), manifesto del classicismo, dove discute in modo unitario le tre arti visive per definire l’Idea e la Bellezza, si rifà alle tesi di Alberti, Leonardo e Raffaello, artisti tutti seguaci della natura. Per lui gli artisti, spinti dalla contemplazione sensibile, uniscono il vero al verosimile: così “si formano anch’essi nella mente un esempio di bellezza superiore, e di nesso riguardando, emendano la natura senza colpa di colore e di lineamento”. Tale idea, che ha origine dalla natura, supera l’origine e “fassi originale dell’arte, misurata dal compasso dell’intelletto, diviene misura della mano, ed animata dall’immaginativa, dà vita all’immagine”. In definitiva Bellori si mostra seguace di ideali platonici ed aristotelici i quali insieme mirano ad “una teoria dell’arte come fattore di universalità e di bellezza”. Subito dopo Bellori ricorda l’esempio del pittore greco Zeusi (Eraclea, V secolo a.C., seconda metà) che sceglie cinque parti da associare estraendole da altrettante modelle. Così progetta l’immagine di Elena che supera qualsiasi bellezza naturale. In età greco-romana il procedimento divenne famoso e fu poi ricordato molte volte nella storia delle arti, con certezza dall’età del Rinascimento in poi. Conseguenza fu adottato anche da Luigi Vanvitelli in uno dei primi progetti che elabora per il palazzo Reale di Caserta, quando inventa quattro cortili con ordini architettonici diversi per l’edificio.     

VEGA DE MARTINI

Carlo, Caserta e i siti reali spagnoli, dall’Escorial alla Granja

Ancora oggi la lettura della Reggia casertana non va oltre quella trita e ritrita con cui si ribadisce la sua assoluta dipendenza  da Versailles. La giornata di studi internazionali su Carlo di Borbone  sembra una buona occasione per riproporre il tema, vista la presenza di tanti eminenti studiosi e in particolare di Marcello Fagiolo che già nel 1963 aveva intuito un collegamento di Caserta con i siti reali spagnoli facendo però segnatamente riferimento ai progetti (1712-15) del nuovo Palazzo Reale del Buen Retiro a Madrid commissionati da Filippo V e  poi non realizzati.

FERNANDA GARCIA MARINO

Carlo III e Farinelli: un rapporto difficile

La scelta dell’argomento, il complesso rapporto tra i due, il re di Spagna e il castrato più celebre d’Europa, nasce dal lavoro di traduzione dallo spagnolo del Manoscritto originale del Farinelli datato al 1758 (anno in cui finisce il suo impegno lavorativo in Spagna), intrapreso dalla sottoscritta e da Vega de Martini. Dalla lettura del testo confrontata con altre fonti epistolori e documentarie, sono venuti fuori fatti e circostanze, tali da chiarire i termini di una questione che non è di poco conto.

RICCARDO SERRAGLIO

Carlo di Borbone re di Napoli  e di Sicilia committente di architettura                                     

Biografie e documenti d’archivio riferiscono dell’interesse per l’architettura di Carlo di Borbone, che volle consolidare il benessere del proprio regno non solo con provvedimenti temporanei, volti al potenziamento dell’economia, ma pure con la “magnificenza” di fabbriche destinate a durare nel tempo. Dopo aver disposto l’ampliamento del palazzo reale di Napoli, affidato a Ferdinando Sanfelice, e la costruzione delle regge di Portici e di Capodimonte, dandone incarico a Giovan Antonio Medrano e ad Antonio Canevari, il re «[…] ne volle aggiungere un terzo, più assai maestoso, che avesse veramente del grande, e che fosse di ammirazione a qualunque forestiere, e  degno d’ogni Monarca della Terra. […] Per il luogo si scelse finalmente l’antichissima Città di Caserta». La progettazione del nuovo palazzo fu affidata a «l’incomparabile Architetto D. Luigi Vanvitelli, Romano». La relazione tra il re e Vanvitelli, straordinariamente proficua, sembra inverare la figura filaretiana del coniugio tra il principe e l’architetto, rispettivamente padre e madre dell’opera architettonica. Per note ragioni, i progetti di Carlo di Borbone e di Luigi Vanvitelli per Caserta furono attuati solo parzialmente. È interessante, pertanto, traguardare la consistenza finale degli edifici concepiti da Carlo, successivamente modificati e ridimensionati, cercando di riconoscere nei progetti originari la lungimiranza dei suoi programmi, volti a una sostanziale riorganizzazione territoriale attraverso la realizzazione di opere di architettura e ingegneria che fossero «[…] non solo le più maestose della Francia, e della Spagna, ma di tutta Italia, e dell’Europa».

Cesare Cundari                       

“Nell’intervento verrà illustrata, negli aspetti essenziali, la vicenda della realizzazione del complesso reale di Caserta, con attenzione sia all’edificio (soprattutto) ma anche al parco ed all’acquedotto. Saranno, altresì, considerati alcuni aspetti particolarmente rilevanti dell’intervento progettuale di Luigi Vanvitelli. “

Re Carlo di Borbone e l’invenzione dell’archeologia.                                                     

di Tsao Cevoli                                                                                                                 

Carlo III di Borbone era da poco salito al trono del Regno delle Due Sicilie, quando decise di intraprendere i primi scavi archeologici sistematici al mondo: Ercolano (1738) e Pompei (1738). Tali scavi non solo portarono alla luce testimonianze straordinarie ed uniche di età romana, preservatesi grazie all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., ma segnarono anche l’inizio, potremmo dire “l’invenzione”, di una nuova disciplina, l’archeologia, che avrebbe rivoluzionato lo studio dell’antichità come era stato inteso nei secoli precedenti.

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