A colloquio con l’architetto Salvatore Costanzo

Il Presidente dell’Associazione Culturale “Luigi Vanvitelli” intervista il noto Storico dell’arte casertano

Per i 260 anni della Reggia di Caserta, analizzata l’opera degli  aiutanti vanvitelliani  in Spagna e Russia

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di Aldo Maria Pagella

“Deliciae regis felicitas populi”, recita l’incisione sulla medaglia sepolta, il 20 gennaio 1752, sotto la prima pietra della Reggia di Caserta. In quel lontano giovedì, Re Carlo di Borbone, accompagnato dalla regina Maria Amalia di Sassonia e in mezzo a quattro file di soldati, che segnavano il perimetro del futuro palazzo, pose la prima pietra, sulla quale ne fu collocata un’altra da Luigi Vanvitelli, progettista e direttore generale dei lavori, che si rivelerà uno dei più straordinari architetti-ingegneri del secolo XVIII.

Per la ricorrenza del 260° Anniversario della posa della prima pietra dell’immensa  fabbrica  borbonica, scopriamo oggi come nella seconda metà del Settecento l’arte del Vanvitelli abbia lasciato in alcuni paesi d’Europa una fervida impronta creativa su una foltissima schiera di discepoli, collaboratori e seguaci, molti dei quali avevano operato nel grande cantiere casertano. L’argomento suscita particolare interesse storiografico specie in alcuni  ambienti culturali come quelli Accademici, delle Soprintendenze e della Provincia di Caserta, e trova nell’Architetto Salvatore Costanzo, noto Storico dell’arte, autore di numerosi volumi nel settore dei Beni Culturali e della storia urbana e artistica di Terra di Lavoro, uno dei maggiori interlocutori, oltre che uno dei primari sostenitori del ruolo fondamentale del “vanvitellianesimo europeo”.

Una poderosa pubblicazione sull’opera di una vasta schiera di giovani architetti formatisi nella scia del Vanvitelli e  operanti, soprattutto, fuori del Regno delle due Sicilie, costituisce l’oggetto di un recente lavoro di Salvatore Costanzo, in cui l’autore si sofferma su delle maestranze che, benché ancora poco note e scarsamente documentate, si rivelano oggi come figure di professionisti veramente singolari, personalità spesso di primo piano, i cui nomi sono legati – in qualche modo – alle complesse vicende costruttive della Reggia.

All’Architetto Costanzo abbiamo chiesto di spiegare nel dettaglio in che cosa consiste la sua ricerca.

Ci scusi, Architetto, ci vuole innanzitutto chiarire qual’è lo spirito di colleganza che unisce il Vanvitelli ai suoi principali aiuti e collaboratori del cantiere casertano?

“Vede, in un sovrapporsi di impegni diversi, Luigi Vanvitelli seppe formare grazie alle sue dottrine e ai suoi insegnamenti, un gruppo affiatatissimo di giovani collaboratori, riuscendo a dare a moltissimi di loro una preparazione specifica in molteplici discipline, sia nel campo progettuale, sia in quello tecnico-esecutivo. Il significato della continuità classica, presente in molte opere dei suoi allievi, è anzitutto significato innovatore, anche se non ha nulla a vedere con il rinnovamento neoclassico, che fu reazione esplicita al barocco. Per questa via il linguaggio dell’arte del Vanvitelli, se pur mutato per personali attitudini, si diffonde attraverso molti suoi allievi in alcuni paesi d’Europa. Si tratta di modelli elevati e straordinariamente interessanti che diventano , talvolta, una vera spina portante della “nuova” architettura”.

Vuole ricordarci qualche opera in Spagna realizzata dagli allievi casertani?

“Con una certa sicurezza , si può pensare che l’architetto romano Marcello Fonton, aiutante del Vanvitelli a Caserta, abbia collaborato insieme ad una nutrita schiera di maestranze venute dall’Italia, nella costruzione del Palazzo Reale di Madrid. Il Fonton firmò infatti con altri architetti le condizioni per l’appalto dei fregi dello stesso edificio e, poco più tardi, tra il 1765-69 circa, fu impegnato ad Aranjuez nella realizzazione della Chiesa e dell’annesso Convento di San Pasquale dei Frati Minori Francescani Scalzi di S. Pietro di Alcantara; fabbriche, queste, che fino a qualche tempo fa venivano attribuite al palermitano Francesco Sabatini. Quest’ultimo, già alle dipendenze del Vanvitelli a Caserta, fu chiamato a Madrid nel 1760 dal Re Carlo III. Tra i lavori spagnoli del Sabatini sono degni di lode la Scala principale del Palazzo di Madrid, la Porta di Alcalà, la Tomba di Ferdinando VI nella Chiesa “de las Salesas” di Segovia, di stile barocco, e l’altare maggiore della Cattedrale di Segovia, nel quale lo stile neoclassico francese rimane molto influenzato dal barocco di Versailles”.

Può fornirci delle notizie sull’attività dei figli del Vanvitelli che si trasferirono in Spagna e  di eventuali aiutanti “ticinesi”?

“Certamente. Sappiamo che il Sabatini operò in Spagna fino al 1797 (anno della sua morte), e che si giovò di una vasta schiera di collaboratori, tra i quali due dei figli del suo celebre maestro : Pietro e Francesco Vanvitelli. Il primo, tra l’altro, fu aiutante nei lavori del Palazzo Reale di Madrid ed estese la sua opera a Bailén, mentre Francesco, oltre alla sua apprezzata attività professionale con “l’eccellentissimo Sabatini”, raggiunse il grado di Tenente Generale dei Reali Eserciti di S. Maestà Cattolica. Riguardo invece la grande famiglia di architetti ticinesi che operarono in Spagna, giova sottolineare “in primis” la figura di Giambattista Patturelli, collaboratore del Vanvitelli, pure lui, nell’immensa fabbrica Reale di Caserta. Per la sua adesione allo spirito settecentesco e alla tradizione del Vanvitelli è da considerare tra i più qualificati della schiera dei seguaci del maestro. Tuttavia come progettista di architetture di corte, Giambattista non eccelse”.

Oltre la Spagna, in quale paese d’Europa troviamo la presenza di maestranze vanvitelliane?

“Così come alla Corte di Spagna, una larga cerchia di architetti vanvitelliani furono impegnati in Russia nella diffusione del classicismo. Ciò avvenne cronologicamente attraverso le forme francesi prima del movimento neoclassico, sia durante il regno della zarina Elisabetta (1741-61), sia sotto Caterina II (1762-96). A San Pietroburgo, la vocazione artistica di “scuola vanvitelliana” trova in Antonio Rinaldi il suo maggiore rappresentante (sappiamo che nel gennaio del 1751 il Rinaldi era a Caserta, insieme col Vanvitelli, per eseguire alcuni rilievi topografici per il progetto del Palazzo)”.

Ci può sintetizzare il suo pensiero sulla qualità delle architetture in Russia del Rinaldi?

“E’ necessario rilevare che Antonio Rinaldi diventerà in Russia il più importante architetto dell’epoca tardo-barocca. Alla sua produzione artistica, dilatatasi negli anni sotto l’ampiezza accresciuta di una esperienza tecnico-progettuale estremamente significativa, appartengono il Castello di Gatcina, costruito per il principe Orlov, ed in seguito residenza preferita dell’imperatore Paolo I, e la Cattedrale di Jamburg; mentre è stata molto rimaneggiata la Chiesa dell’Ascensione, che il Rinaldi costruì a Pietroburgo”.

Vuole aggiungere qualcosa su quest’ultimo artista, già collaboratore del Vanvitelli?

“E’ bene mettere in luce che il Rinaldi fu un architetto e un artista intelligente e sicuro (il Vanvitelli stesso ce lo indica direttore dei lavori della Chiesa delle Monache della Maddalena, a Pesaro, da lui progettata nel 1740, quindi molto prima del grande impianto urbanistico casertano). Il capolavoro del Rinaldi in Russia resta il Palazzo di Marmo, che suscitò grandissima ammirazione a Pietroburgo per la ricchezza dei rivestimenti (granito rosso e marmo grigio della Siberia), contrariamente alla tradizione russa, che non adoperava mai dei materiali pregiati per gli esterni. Mentre le facciate rivelano un’austerità nell’uso di superfici piane e nel disegno netto delle finestre che precorre già il neoclassicismo, l’interno del palazzo, con il pittoresco scalone e la ricca sala per i ricevimenti, è ancora prettamente tardo-barocco”.

Architetto, prima di concludere, qual’è la sua opinione sulla “scuola del Vanvitelli?

“Sulla scorta di queste brevi considerazioni, mi sembra di poter confermare ancora una volta che l’insegnamento del sommo architetto napoletano resta tuttora estremamente valido e vero: esso ha incarnato una delle pagine più rilevanti dei nuovi modelli artistici del seconda stagione settecentesca. L’appassionato spirito investigativo e soprattutto la particolare impronta creativa lasciata dagli artefici della sua “scuola”, ci danno dei suoi tempi una testimonianza altissima in cui opere eseguite in Europa con fantasiose scenografie e sicura originalità d’impianto progettuale si mescolano a qualcosa di insolito, di cui il maestro è stato uno straordinario rivelatore. E’ innanzitutto per questo che, specialmente oggi, sentiamo la “scuola del Vanvitelli” tanto vicina.”